Monte Paschi, il computer di David Rossi è stato manomesso dopo il suicidio
Chi è entrato nell’ufficio per diversi minuti nelle ore trascorse tra il decesso e il sequestro del materiale da parte degli inquirenti avvenuto solo la mattina dopo? A distanza di un anno sono ancora molti i punti oscuri nell'inchiesta sulla morte del manager
Chi è entrato nell’ufficio di David Rossi dopo la sua morte? Chi ha spostato alcuni oggetti e ha avuto accesso al suo computer più volte e per diversi minuti nelle ore trascorse tra il decesso e il sequestro del materiale da parte degli inquirenti avvenuto solo la mattina dopo? A distanza di un anno l’inchiesta sull’induzione al suicidio dell’ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena ha ancora degli interrogativi senza risposta. Dal fascicolo emergono inoltre alcune discrepanze tra le ricostruzioni fornite da alcuni testimoni, tra cui quelle di Fabrizio Viola e Bernardo Mingrone, rispettivamente amministratore delegato e direttore generale area finanza di Rocca Salimbeni. E soltanto lo scorso novembre la Polizia Postale, a seguito di nuove perizie caldeggiate dai familiari di Rossi, ha individuato i destinatari della mail con cui il dirigente il 4 marzo, due giorni prima della morte, chiedeva aiuto: “Stasera mi suicidio sul serio. Aiutatemi!!!”. Mail recapitata a Viola, come da tempo noto, ma anche a Bruna Sandrettidell’ufficio del personale. Altre perizie di parte, infine, sarebbero ancora in corso sulle registrazioni delle telecamere di sorveglianza sul vicolo dove è stato ritrovato il cadavere di Rossi. Dalle immagini si cerca di ricostruire la dinamica della caduta e soprattutto dare un’identità ad alcune persone, una in particolare, che si vedono nelle vicinanze dell’uomo riverso a terra, ancora vivo, e poi allontanarsi.
Nonostante la chiusura delle indagini sia stata notificata a luglio, gli inquirenti hanno sentito altri testimoni fino a dicembre e svolto ulteriori aggiornamenti sfruttando il fascicolo parallelo aperto il 5 luglio a seguito della pubblicazione sul Fatto Quotidiano dello scambio di mail tra Rossi e Viola. Anche su questi elementi si è concentrata l’attenzione del gip Monica Gaggelli che ora deve esprimersi sull’archiviazione dell’inchiesta sull’induzione al suicidio di Rossi. Archiviazione chiesta dai pm titolari dell’indagine, Nicola Marini e Aldo Natalini, che ha visto l’opposizione dei familiari della vittima e sulla quale Gaggelli lo scorso 13 dicembre si è riservata. Ma la decisione, garantiscono fonti vicine alla Procura toscana, è attesa a giorni. Alla luce di quanto emerso non è escluso un supplemento di indagini.
A ormai un anno esatto da quel 6 marzo, quando Siena scoprì che i freddi numeri dell’inchiesta scandita da bilanci, swap, derivati e mandate agreement, avevano ucciso l’unico contradaiolo rimasto ai vertici della banca. Lo scrive Carla Ciani nella sua relazione e lo conferma anche a verbale davanti ai pm: “Per lui (l’indagine, ndr) rappresentava un dramma”. Ciani è una coaching, chiamata in azienda da Viola per motivare i manager della banca tra cui Rossi, cui era stato sottratto da poco il settore della comunicazione interna e affidato a Ilaria Della Riva. Inoltre aveva subito una perquisizione, a casa e in ufficio, a fine febbraio che lo aveva “profondamente scosso”, aggiunge Ciani. La mattina del 6 marzo Ciani incontra Rossi nel suo ufficio per due ore. È un incontro motivazionale fissato da tempo. Il 13 marzo la coaching racconta ai pm: “Era molto agitato (…) mi ha manifestato una situazione di ansia derivante dalla perquisizione da lui subita (…), continuava a chiedersi senza trovare risposta se c’era qualcosa che avrebbe potuto comprometterlo. Si sentiva quasi il senso di disgrazia imminente: questo era fortissimo – rivela Ciani – tant’è che usava espressioni quali ‘ho paura che mi possano arrestare’, ‘ho paura di perdere il lavoro’”. Infine: “Continuava a dire di aver fatto delle cavolate, ma l’unica cavolata rappresentatami come tale è stata questa mail scritta a Viola”.
Mail individuata dalle indagini solo in un secondo momento grazie esclusivamente a ricerche specifiche e mirate. Anche a seguito di questa evidenza sono stati sollevati dei dubbi su una possibile manomissione del computer di Rossi. Già nel primo verbale redatto il 7 marzo alle 15.15 i pm Natalini e Nastasi rivelano numerosi “accessi sospetti” avvenuti dopo il decesso. In particolare nella notte del 6 marzo “alle ore 21.50; 21.56; 1:24 e 1.37”. Nello stesso verbale la questione veniva liquidata con la perizia di Marco Bernardini, responsabile Itc della banca: “Movimenti del mouse”.
Successive perizie specifiche avrebbero invece accertato che in almeno due casi (21.50 e 1.24) qualcuno è entrato nel pc con le password e lo ha usato per 6 minuti e 17 secondi al primo accesso e per 13 minuti al secondo. Nello storico agli atti ci sono anche accessi successivi avvenuti il 7 mattina ma questi sono indicati e riportati nei verbali di perquisizioni e sequestro da parte delle autorità e accompagnati dalla ricostruzione delle operazioni iniziali effettuate per recuperare la password compiute il 7 mattina. Appare dunque quasi certo che la sera dopo il decesso di Rossi qualcuno è entrato nel suo ufficio. Anche il confronto tra i rilievi immediati svolti daiCarabinieri, i primi a intervenire sul posto, e le foto repertate il giorno successivo, ci sono numerose differenze anche nella disposizione degli oggetti nella stanza. Eppure dai verbali deitestimoni nessuno dopo le 22 era in Rocca Salimbeni.
da Il Fatto Quotidiano del 23 febbraio 2014
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