12 luglio 2013 alle ore 12.54
Il punto che non deve essere perso di vista è che ok, otto anni per il deposito di una sentenza sono a dir poco "Inqualificabili" ma, come ben riportato nel documento che segue, il citato "Pinatto", ossia l'ex giudice, era a suo tempo P.M. in quel di Milano ed aveva già subito due procedimenti disciplinari in quanto noto lo stato di evidente "estasi contemplativa" nel quale cadeva ogni volta che il suo lavoro prevedeva la compilazione di documenti giudiziari di qualsiasi genere.
Adesso, anche con una minima riflessione si può comprendere che un soggetto del genere, se rimosso dalla sede milanese ove svolgeva le funzioni di magistrato "Inquirente", per certo non deve e non può essere trasferito in una località come "Gela" (Caltanissetta) e per di più ad espletare le funzioni di magistrato "Giudicante" in processi mastodontici contro "Cosa nostra".
I risultati sono quelli che conosciamo ma non può essere individuato, quale responsabile il solo "Pinatto" n quanto ogni procura ha il suo "Procuratore", ogni tribunale ha il suo "Presidente" così come ogni corte d'appello ha il suo procuratore generale presso quella sede.
Naturalmente non deve e non può essere dimenticato il noto "C.S.M." ossia l'organo di autogoverno della magistratura.
Infatti, sarà sempre troppo tardi quando tale istituzione cesserà di essere organo di "Autotutela" dei "Magistrati" (o, come nel caso presunti tali) volendo "Ignorare" le migliaia di denunce a carico dei "Togati" che, i cittadini propongono a seguito delle oramai classiche "Omissioni" di atti d'ufficio e della commissione di altri ben più gravi delitti ma, a proposito di quanto sopra, le disposizioni del citato c.s.m. pare che siano quelle di "Archiviare" aprioristicamente ed in modo pregiudiziale (in pratica "Insabbiare" sempre e comunque), qualsiasi denuncia sporta nei confronti di "Magistrati" i quali, consapevoli di ciò, continuano tranquillamente a delinquere come e quando vogliono e coloro che pagano sono i "Cittadini" i quali si ritrovano soli contro la "Casta" di "Intoccabili" che ben conosciamo.
Per concludere Ok, la notizia fa scalpore, otto anni per il deposito di una sentenza, il giudice rimosso e condannato al pagamento dei danni ma, che nessuno pensi che, con un "Pinatto" una tantum, possa essere considerato risolto il "Problema-Giustizia" poichè in questo paese la seconda è latitante e quindi resta esclusivamente il "Problema" costituito da una infinità di soggetti con la "Toga" i quali, quotidianamente si rendono responsabili delle cose più "Aberranti" e comunque sempre nel più totale disprezzo della legge penale la quale è sempre "Artatamente" manipolata per curare il prezzo o il profitto di qualcuno ed anche i precedenti arresti di altri due "Magistrati" (molto recenti) nonchè la denuncia televisiva di un Signor Giudice, appartenente al tribunale dei minori di Bologna, il quale ha esposto tutto il "Malaffare" che regna all'interno della "Casta" (meglio conosciuta come "Magistratura"), altro non sono che delle eccezioni che confermano una regola la quale consiste nello sfacciato potere in possesso di un ordine statale che, considerati i "Quattro milioni" di casi di malagiustizia, dal dopoguerra a tutt'oggi, non ha più ragione di esistere con questi presupposti e deve essere radicalmente riformato nella sua architettura come non ha mancato di ricordare anche il Presidente delle camere penali italiane durante un suo intervento televisivo.
QUASI QUASI DIFENDO EDI PINATTOgiovedì 26 marzo 2009di Mauro Mellini
L’idea che, forse, era il caso di spendere qualche parola in difesa del magistrato di Gela che aveva ritardato otto anni a depositare la sentenza in un processo di mafia, mandando così in prescrizione molti e gravi reati, Edi Pinatto l’ebbi già allora, lo confesso, quando scoppiò il caso di quel (non del tutto) incredibile ritardo.
Se non lo feci, anche questo lo confesso, fu per non dare ai molti che già lo ritengono, argomenti in pro della tesi, che io ho proprio il vizietto di voler andare contro corrente. Ma poi mi parve, e mi pare, che prima di Edi Pinatto c’è molta altra gente colpevole magari senza scusanti e, tuttavia, meritevoli di qualche evidente attenuante, per la quale non si trova un cane disposto ad invocare il senso delle proporzioni ed il dovere di non ignorare quel tanto di ragione che possono avere anche i colpevoli.
Soprattutto, però, a sollievo della colpa del magistrato più poltrone d’Italia (la definizione non è mia) più che l’invocazione di attenuante (che, se ce n’erano, in otto anni avevano fatto in tempo ad andare in fumo) era un richiamo all’osservanza della giustizia distributiva.
Se il giudice estensore di una sentenza, specie in un grosso processo con gravi imputazioni e molti imputati, tarda otto anni a redigerla e depositarla, non venite a dirmi che solo lui merita un provvedimento disciplinare. Presidente, procuratore della Repubblica, procuratore generale, avvocati (se non altro quelli di parte civile) e magari il cancelliere, che ci stanno a fare? Aspettavano proprio che il campione di lentezza avesse realizzato un primato indiscutibile ed imbattibile?
Nessuno, invece, a quanto pare, ha dovuto rispondere quanto meno di “culpa in vigilando”. E, magari, qualcun altro non avrebbe dovuto rispondere di “culpa in eligendo” per avergli consentito con una così spiccata propensione alla stasi contemplativa, di fare il magistrato e di affidargli pure la redazione di sentenze oggettivamente mastodontiche?
Tutto ciò è solo disagio per la sensazione che molte altre responsabilità siano state dimenticate. Non quindi attenuanti.
Attenuanti, semmai, avrebbero potuto adombrasi per una considerazione. Quella sentenza (processo, lo ripetiamo, di mafia), con molti imputati, testimoni (pentiti, magari) migliaia di pagine di verbali, chi sa quante udienze, capi di imputazione prolissi etc. etc. avrà comportato doversi redigere la solita sentenza “monumentale”. Monumentale, certo, ma non tale da richiedere per edificarla più tempo di quello occorso per costruire le piramidi.
Altri, questo è il punto, avrebbero impiegato assai meno. Sentenze di maxiprocessi, veramente monumentali, o meglio, mastodontiche, sono redatte da magistrati d’altro stampo in tempi lunghi, sì, ma, certo non lontanamente paragonabili al primato di Pinatto da Gela. Meraviglia delle meraviglie! Come avranno fatto certi giudici a stilare sentenze di tre, magari quattromila o più pagine in tot mesi, in un anno o giù di lì?
A conti fatti abbiamo medie di cento e passa pagine al giorno. Primati opposti a quello di Pinatto, a gloria della magistratura e ad esempio per le future generazioni. Già. Ma il miracolo, più che un miracolo è come si usa oggi dire, un tarocco. Ne scrissi qualcosa in un mio libro: “La fabbrica degli errori – breviario di patologia giudiziaria” in un capitolo intitolato “il computer imbroglione”. Cento pagine al giorno sono molte, anche per uno stakanovista delle sentenze. Ma che siano poi cento pagine di autentica “motivazione”, cioè qualcosa come la confessione del travaglio logico attraverso il quale si è giunti a quella decisione, è un’altra cosa. Non è solo in quel libro che si parla del metodo “copia e incolla” con il quale si edificano certe sentenze “monumentali”. Andate a leggerle: vi sono pezzi che ritroverete in decine di altre sentenze dello stesso estensore o di altri. E pagine di verbali di deposizioni di pentiti e di testi di pentitologia altrimenti definita scienza della prova e di altro. Sentenze della Cassazione a bizzeffe che c’entrano e, soprattutto, che non c’entrano un cavolo.
Quella della motivazione dei provvedimenti giudiziari è un obbligo stabilito dalla stessa Costituzione. Che non vieta il metodo “copia e incolla” (lo ha definito così, di recente, anche un insospettabile magistrato palermitano). Il che non significa che chi così costruisce le motivazioni, ubbidisca alla Costituzione. E nemmeno alla decenza ed alla buona fede. Colpa, certo, del computer, che rende questo metodo facilissimo da praticare e che quasi invita a praticarlo. Cioè a consumare, nella sostanza, un autentico falso, per non parlare alla beffa nei confronti del dettato costituzionale.
Questa, in sostanza, sarebbe stata la vera, se pur modesta, attenuante per Edi Pinatto giudice del Tribunale di Gela, primatista, etc. etc.
In sostanza: meglio poltrone che falsario.
Le cose cominciano a cambiare o, se vogliamo, si ripetono e meglio si comprendono, oggi, che leggiamo sui giornali che Edi Pinatto, già giudicato dalla Sezione Disciplinare del C.S.M. con sentenza di radiazione dall’Ordine Giudiziario, in attesa della decisione del suo ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, è stato trasferito a Milano, con funzioni di P.M. Ad Edi Pinatto, è capitato, essendo di turno, di dover affrontare (con calma, s’intende) il caso di Moralit El Mustafà, agli arresti domiciliari con l’accusa, tra l’altro, di violenza sessuale su un ragazzino di manco quattordici anni. Esce il decreto che esclude dal “beneficio” dei domiciliari gli imputati di violenza sessuale. Passa un giorno, passa l’altro, Pinatto non chiede di “convertire” la misura cautelare in custodia carceraria.
Nel frattempo Mustafà, magari terrorizzato dall’idea di dover attendere otto anni la sentenza che lo proclamasse innocente, ha preso il largo e si è reso uccel di bosco.
“Perservare diabolicum” tuonano tutti i giornali. Eppure stavolta, che so, Pinatto avrà semplicemente avuto bisogno di riflettere per capir bene se una norma di carattere processuale (quale quella sulla custodia cautelare) ma relativa allo stato di libertà, potesse avere veramente e senza ledere il dettato costituzionale, effetto retroattivo, come si vuole abbia questo decreto.
In ogni caso, anche stavolta è proprio certo che altre responsabilità non si aggiungano a quelle dell’oramai emblematico magistrato? Come mai non è stato, intanto, sospeso cautelativamente? Con i suoi precedenti non avrebbe il capo dell’ufficio fatto bene a tenerlo d’occhio?
Comunque sia, è augurabile che le Sezioni Unite della Cassazione provvedano sollecitamente. Intanto, però, nessuno dovrebbe alleggerirsi la coscienza levando grida contro Pinatto.
E’ troppo comodo.
Adesso, anche con una minima riflessione si può comprendere che un soggetto del genere, se rimosso dalla sede milanese ove svolgeva le funzioni di magistrato "Inquirente", per certo non deve e non può essere trasferito in una località come "Gela" (Caltanissetta) e per di più ad espletare le funzioni di magistrato "Giudicante" in processi mastodontici contro "Cosa nostra".
I risultati sono quelli che conosciamo ma non può essere individuato, quale responsabile il solo "Pinatto" n quanto ogni procura ha il suo "Procuratore", ogni tribunale ha il suo "Presidente" così come ogni corte d'appello ha il suo procuratore generale presso quella sede.
Naturalmente non deve e non può essere dimenticato il noto "C.S.M." ossia l'organo di autogoverno della magistratura.
Infatti, sarà sempre troppo tardi quando tale istituzione cesserà di essere organo di "Autotutela" dei "Magistrati" (o, come nel caso presunti tali) volendo "Ignorare" le migliaia di denunce a carico dei "Togati" che, i cittadini propongono a seguito delle oramai classiche "Omissioni" di atti d'ufficio e della commissione di altri ben più gravi delitti ma, a proposito di quanto sopra, le disposizioni del citato c.s.m. pare che siano quelle di "Archiviare" aprioristicamente ed in modo pregiudiziale (in pratica "Insabbiare" sempre e comunque), qualsiasi denuncia sporta nei confronti di "Magistrati" i quali, consapevoli di ciò, continuano tranquillamente a delinquere come e quando vogliono e coloro che pagano sono i "Cittadini" i quali si ritrovano soli contro la "Casta" di "Intoccabili" che ben conosciamo.
Per concludere Ok, la notizia fa scalpore, otto anni per il deposito di una sentenza, il giudice rimosso e condannato al pagamento dei danni ma, che nessuno pensi che, con un "Pinatto" una tantum, possa essere considerato risolto il "Problema-Giustizia" poichè in questo paese la seconda è latitante e quindi resta esclusivamente il "Problema" costituito da una infinità di soggetti con la "Toga" i quali, quotidianamente si rendono responsabili delle cose più "Aberranti" e comunque sempre nel più totale disprezzo della legge penale la quale è sempre "Artatamente" manipolata per curare il prezzo o il profitto di qualcuno ed anche i precedenti arresti di altri due "Magistrati" (molto recenti) nonchè la denuncia televisiva di un Signor Giudice, appartenente al tribunale dei minori di Bologna, il quale ha esposto tutto il "Malaffare" che regna all'interno della "Casta" (meglio conosciuta come "Magistratura"), altro non sono che delle eccezioni che confermano una regola la quale consiste nello sfacciato potere in possesso di un ordine statale che, considerati i "Quattro milioni" di casi di malagiustizia, dal dopoguerra a tutt'oggi, non ha più ragione di esistere con questi presupposti e deve essere radicalmente riformato nella sua architettura come non ha mancato di ricordare anche il Presidente delle camere penali italiane durante un suo intervento televisivo.
QUASI QUASI DIFENDO EDI PINATTOgiovedì 26 marzo 2009di Mauro Mellini
L’idea che, forse, era il caso di spendere qualche parola in difesa del magistrato di Gela che aveva ritardato otto anni a depositare la sentenza in un processo di mafia, mandando così in prescrizione molti e gravi reati, Edi Pinatto l’ebbi già allora, lo confesso, quando scoppiò il caso di quel (non del tutto) incredibile ritardo.
Se non lo feci, anche questo lo confesso, fu per non dare ai molti che già lo ritengono, argomenti in pro della tesi, che io ho proprio il vizietto di voler andare contro corrente. Ma poi mi parve, e mi pare, che prima di Edi Pinatto c’è molta altra gente colpevole magari senza scusanti e, tuttavia, meritevoli di qualche evidente attenuante, per la quale non si trova un cane disposto ad invocare il senso delle proporzioni ed il dovere di non ignorare quel tanto di ragione che possono avere anche i colpevoli.
Soprattutto, però, a sollievo della colpa del magistrato più poltrone d’Italia (la definizione non è mia) più che l’invocazione di attenuante (che, se ce n’erano, in otto anni avevano fatto in tempo ad andare in fumo) era un richiamo all’osservanza della giustizia distributiva.
Se il giudice estensore di una sentenza, specie in un grosso processo con gravi imputazioni e molti imputati, tarda otto anni a redigerla e depositarla, non venite a dirmi che solo lui merita un provvedimento disciplinare. Presidente, procuratore della Repubblica, procuratore generale, avvocati (se non altro quelli di parte civile) e magari il cancelliere, che ci stanno a fare? Aspettavano proprio che il campione di lentezza avesse realizzato un primato indiscutibile ed imbattibile?
Nessuno, invece, a quanto pare, ha dovuto rispondere quanto meno di “culpa in vigilando”. E, magari, qualcun altro non avrebbe dovuto rispondere di “culpa in eligendo” per avergli consentito con una così spiccata propensione alla stasi contemplativa, di fare il magistrato e di affidargli pure la redazione di sentenze oggettivamente mastodontiche?
Tutto ciò è solo disagio per la sensazione che molte altre responsabilità siano state dimenticate. Non quindi attenuanti.
Attenuanti, semmai, avrebbero potuto adombrasi per una considerazione. Quella sentenza (processo, lo ripetiamo, di mafia), con molti imputati, testimoni (pentiti, magari) migliaia di pagine di verbali, chi sa quante udienze, capi di imputazione prolissi etc. etc. avrà comportato doversi redigere la solita sentenza “monumentale”. Monumentale, certo, ma non tale da richiedere per edificarla più tempo di quello occorso per costruire le piramidi.
Altri, questo è il punto, avrebbero impiegato assai meno. Sentenze di maxiprocessi, veramente monumentali, o meglio, mastodontiche, sono redatte da magistrati d’altro stampo in tempi lunghi, sì, ma, certo non lontanamente paragonabili al primato di Pinatto da Gela. Meraviglia delle meraviglie! Come avranno fatto certi giudici a stilare sentenze di tre, magari quattromila o più pagine in tot mesi, in un anno o giù di lì?
A conti fatti abbiamo medie di cento e passa pagine al giorno. Primati opposti a quello di Pinatto, a gloria della magistratura e ad esempio per le future generazioni. Già. Ma il miracolo, più che un miracolo è come si usa oggi dire, un tarocco. Ne scrissi qualcosa in un mio libro: “La fabbrica degli errori – breviario di patologia giudiziaria” in un capitolo intitolato “il computer imbroglione”. Cento pagine al giorno sono molte, anche per uno stakanovista delle sentenze. Ma che siano poi cento pagine di autentica “motivazione”, cioè qualcosa come la confessione del travaglio logico attraverso il quale si è giunti a quella decisione, è un’altra cosa. Non è solo in quel libro che si parla del metodo “copia e incolla” con il quale si edificano certe sentenze “monumentali”. Andate a leggerle: vi sono pezzi che ritroverete in decine di altre sentenze dello stesso estensore o di altri. E pagine di verbali di deposizioni di pentiti e di testi di pentitologia altrimenti definita scienza della prova e di altro. Sentenze della Cassazione a bizzeffe che c’entrano e, soprattutto, che non c’entrano un cavolo.
Quella della motivazione dei provvedimenti giudiziari è un obbligo stabilito dalla stessa Costituzione. Che non vieta il metodo “copia e incolla” (lo ha definito così, di recente, anche un insospettabile magistrato palermitano). Il che non significa che chi così costruisce le motivazioni, ubbidisca alla Costituzione. E nemmeno alla decenza ed alla buona fede. Colpa, certo, del computer, che rende questo metodo facilissimo da praticare e che quasi invita a praticarlo. Cioè a consumare, nella sostanza, un autentico falso, per non parlare alla beffa nei confronti del dettato costituzionale.
Questa, in sostanza, sarebbe stata la vera, se pur modesta, attenuante per Edi Pinatto giudice del Tribunale di Gela, primatista, etc. etc.
In sostanza: meglio poltrone che falsario.
Le cose cominciano a cambiare o, se vogliamo, si ripetono e meglio si comprendono, oggi, che leggiamo sui giornali che Edi Pinatto, già giudicato dalla Sezione Disciplinare del C.S.M. con sentenza di radiazione dall’Ordine Giudiziario, in attesa della decisione del suo ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, è stato trasferito a Milano, con funzioni di P.M. Ad Edi Pinatto, è capitato, essendo di turno, di dover affrontare (con calma, s’intende) il caso di Moralit El Mustafà, agli arresti domiciliari con l’accusa, tra l’altro, di violenza sessuale su un ragazzino di manco quattordici anni. Esce il decreto che esclude dal “beneficio” dei domiciliari gli imputati di violenza sessuale. Passa un giorno, passa l’altro, Pinatto non chiede di “convertire” la misura cautelare in custodia carceraria.
Nel frattempo Mustafà, magari terrorizzato dall’idea di dover attendere otto anni la sentenza che lo proclamasse innocente, ha preso il largo e si è reso uccel di bosco.
“Perservare diabolicum” tuonano tutti i giornali. Eppure stavolta, che so, Pinatto avrà semplicemente avuto bisogno di riflettere per capir bene se una norma di carattere processuale (quale quella sulla custodia cautelare) ma relativa allo stato di libertà, potesse avere veramente e senza ledere il dettato costituzionale, effetto retroattivo, come si vuole abbia questo decreto.
In ogni caso, anche stavolta è proprio certo che altre responsabilità non si aggiungano a quelle dell’oramai emblematico magistrato? Come mai non è stato, intanto, sospeso cautelativamente? Con i suoi precedenti non avrebbe il capo dell’ufficio fatto bene a tenerlo d’occhio?
Comunque sia, è augurabile che le Sezioni Unite della Cassazione provvedano sollecitamente. Intanto, però, nessuno dovrebbe alleggerirsi la coscienza levando grida contro Pinatto.
E’ troppo comodo.
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