Commento di Bruno Falzea: Ringrazio dal profondo del cuore l'Amico Mauro Masoni che, nonostante sia stato colpito da un gravissimo lutto per la perdita della sua carissima Mamma, si è reso disponibile a farmi questa sua preziosissima testimonianza. Desidero manifestare a Mauro il mio fraterno cordoglio.
Daniele Bertinetto ha condiviso la nota di Mauro Masoni.-------------------------------------------------
Piace a Bruno Falzea.
Appare inutile sottolineare che, come "Quasi sempre" accade, il "Cittadino" viene considerato, dai "Magistrtai" ed anche dai "Solerti Funzionari" che "Dovrebbero" curare l'iter di determinate procedure e fornire le "Dovute" spiegazioni, palesemente un "Oggetto non Pensante" e quindi non meritevole della minima spiegazione.
Ne consegue che possa capitare che il citato "Cittadino", una volta chieste le debite e legittime spiegazioni, trovandosi di fronte al solito "Muro di Gomma", abbiia anche delle reazioni tendenti a far notare che, nelle sue richieste non vi è assolutamente niente di arbitrario o illegittimo che dir si voglia.
Proprio per curare i rapporti tra il "Cittadino" e la P.A., in altri periodi, evidentemente quando "NON" erano concessi determinati abusi, fu emanato il decreto Lgs nr. 288/1944 e quì di seguito ne viene riportato una parte del testo che comunque appare più che esaustivo poichè fornisce "Cause di Giustificazione" per ogni reazione del cittadino il quale altrimenti potrebbe vedersi coinvolto anche in vari problemi di natura penale:
La reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali: aspetti descrittivi
Articolo 19.10.2005 (Antonio Giacalone)
Il modello di Pubblica Amministrazione delineato dalla nostra Costituzione attribuisce alla stessa numerosi poteri che si traducono, di fatto, in una posizione di supremazia funzionale al raggiungimento dell’interesse pubblico. L’azione della p.a. è legittima in quanto conforme al diritto.
Nel rapporto tra p.a. e cittadini assume fondamentale importanza la norma dell’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944, la quale fornisce tutela al privato destinatario del potere amministrativo sfociato nell’illegittimità.
Il presente lavoro descrive la disciplina dettata dall’articolo 4 del D. lgs. 288/1944 (c.d. reazione legittima agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali), analizzandone la ratio, la natura giuridica e i presupposti di legge.
(Altalex, 19 ottobre 2005)
/Giacalone /reazione /atti arbitrari /pubblici ufficiali /
LA REAZIONE AGLI ATTI ARBITRARI DEI PUBBLICI UFFICIALI: ASPETTI DESCRITTIVI
Dott. Antonio Giacalone
Sommario: I. Ratio e natura giuridica.- II. La condotta arbitraria.- III. La reazione difensiva. - IV. Casistica.
I.
L’articolo 4 del Decreto Legislativo 14 settembre 1944 n. 288 prevede che ''Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 343 del codice penale, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni''.
La norma in esame, generalmente definita “legittima reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali”, rappresenta uno strumento di autotutela, concesso a favore di chiunque, in tutti i casi in cui l’operato dei funzionari della pubblica amministrazione sia espressione di arbitrarietà, di eccessi che si traducono in un veri e propri soprusi.
Conseguentemente, in tali situazioni appare del tutto legittima una reazione difensiva del soggetto passivo che miri a ripristinare l’ordine e la legalità violata da comportamenti scorretti da parte dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di pubblico servizio [1].
In questo senso mostra di orientarsi la dottrina prevalente, ritenendo che la previsione in esame abbia la natura giuridica di una causa di giustificazione (di esclusione dell’antigiuridicità) che trova la sua ratio nell’esigenza di offrire tutela al privato rispetto ad una attività amministrativa arbitraria e lesiva di interessi giuridicamente rilevanti [ANTOLISEI, 366; FIANDACA-MUSCO, 305]. Appare, infatti, iniquo punire la condotta di chi voglia difendersi da una aggressione arbitraria.
La giurisprudenza, dal canto suo, tende a considerare la norma dell’articolo 4 del D. Lgs. 288/1944 una causa di esclusione della pena, che lascia sussistere l’antigiuridicità della condotta dell’agente e la possibilità di applicare sanzioni di natura extrapenale [2].
Per questa via, la condotta dell’agente rimarrebbe illecita, in quanto tipica, antigiuridica e colpevole, ma andrebbe esente dall’applicazione della pena per ragioni di opportunità e di politica criminale.
La diversa prospettiva interpretativa presente importanti risvolti pratici, tra i quali uno dei più rivelanti riguarda la possibilità di ritenere applicabile l’articolo 59 cpv. c.p. Infatti, solo nel caso in cui la norma de qua sia qualificata in termini di causa di giustificazione, può essere richiamato il contenuto della previsione di cui all’articolo 59 cpv. c.p., che attribuisce alle cause di giustificazione un connotato obiettivo, consentendo la loro applicazione anche nelle ipotesi in cui siano state erroneamente supposte (rilevanza del putativo). Ne consegue che, accogliendo la prospettiva ritenuta dalla dottrina prevalente, sarebbe possibile dare rilevanza alla c.d. arbitrarietà putativa.
A dire il vero, la giurisprudenza prevalente insieme ad una parte della dottrina negano la configurabilità del putativo in ordine alla disciplina dell’articolo 4 del D. lgs. 288/1944, ricorrendo spesso a motivazioni che, lungi dal presentare una coerenza sul piano tecnico-giuridico, palesano la volontà di mantenere una sfera di intangibilità e di protezione del potere amministrativo [3].
Tuttavia, occorre rimarcare come le stesse motivazioni di ordine giuridico che hanno giustificato l’introduzione nel nostro ordinamento dell’articolo 59 cpv c.p., possono essere, mutatis mutandis, valide per la scriminante in questione, che deve essere considerata una causa di giustificazione.
La natura giuridica di causa di giustificazione, che esclude l’antigiuridicità della condotta, è imposta, a ben guardare, dalla stessa ratio della norma che, volendo offrire al privato uno strumento di tutela rispetto ai soprusi dei pubblici funzionari, rappresenta un esempio di civiltà giuridica e, in quanto tale, non tollera limitazioni collegate a scelte più o meno precise di politica criminale. E’ la conformità al diritto che rende legittimo l’uso del potere, lo stesso, infatti, quando si pone oltre i confini tracciati dall’ordinamento giuridico, perde ogni connotato di legalità.
II.
Il nucleo centrale della norma è rappresentato dall’eccesso compiuto dal pubblico ufficiale, pubblico impiegato o da un incaricato di un pubblico servizio mediante atti arbitrari che ledono interessi giuridicamente rilevanti di soggetti privati o, anche, pubblici funzionari.
Occorrerà, dunque, esaminare che cosa vuole intendersi per atto eccedente le proprie attribuzioni e per atto arbitrario.
L’atto che eccede le proprie attribuzioni è quello non consentito dall’ordinamento giuridico.
La dottrina prevalente ritiene che siano da annoverare in questa ultima categoria gli atti illegittimi, ossia quelli viziati da violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere [FIANDACA-MUSCO, 304] [4].
Controversa è invece la possibilità di considerare come accedenti le proprie attribuzioni quegli atti che, pur non essendo illegittimi o viziati nel merito, siano scorretti, sconvenienti, et c. [5].
L’eccesso realizzato dal pubblico ufficiale non deve essere solo contrario all’ordinamento giuridico, ma deve essere realizzato attraverso atti arbitrari, ossia con comportamenti che, con prepotenza e sopruso, manifestino la deliberata intenzione di eccedere dalle proprie attribuzioni.
La dottrina oggi prevalente ritiene che il concetto di atto arbitrario eccessivo debba avere una portata oggettiva, che lo identifica con l’illegittimità dello stesso [CRESPI, 307; FIANDACA-MUSCO, 306].
La giurisprudenza ritiene invece che non basta che l’atto sia contra legem (illegittimo), occorrendo, in primo luogo, che il privato e il pubblico ufficiale abbiano la consapevolezza di tale illegittimità e, in secondo luogo, che il pubblico ufficiale operi per fini personali, estranei rispetto al fine pubblico [6].
In coerenza con la prospettiva interpretativa da ultimo riferita, la giurisprudenza ritiene che l’esimente di cui all’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944 non può essere riconosciuta, ad esempio, nel caso in cui l’atto sia stato espressione dei poteri del pubblico ufficiale e sia, comunque, realizzato per fini pubblici, anche se, in concreto, venga attuato con scarsa cautela, per errore o in modo sgarbato [7].
Il connotato soggettivo della condotta del pubblico ufficiale, in termini di dolo, richiesto dalla giurisprudenza, esclude, inoltre, che lo stesso possa essere chiamato a rispondere per colpa e rappresenta il punto di maggiore critica della dottrina all’impostazione seguita dalla giurisprudenza, in quanto ritenuta contraddittoria rispetto alla ratio della norma che, volendo proteggere il cittadino rispetto alle prevaricazioni dei pubblici funzionari e volendo al contempo segnare il limite della legittimità del potere, comporta la sufficienza dell’oggettivo comportamento illecito del pubblico ufficiale [8].
LA P.A. NON DEVE MAI DIMENTICARE CHE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA PROPOSTO UNA ISTANZA, UN ESPOSTO O UNA DENUNCIA INDIRIZZATA ALLA A.G. DI COMPETENZA, HA IL DIRITTO SACROSANTO DI CONOSCERE L'ITER CHE TALE TRATICA STA' SEGUENDO E, NEL CASO, QUALI SIANO STATE LE EVENTUALI DETERMINAZIONI DELLE VARIE a.g. LE QUALI SONO SEMPRE TENUTE A FORNIRE "MOTIVAZIONE SCRITTA" DEL LORO OPERATO O COMUNQUE SEMPRE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA FORNITO RICHIESTA SCRITTA CIRCA LE DETERMINAZIONI ALLE QUALI SI E' GIUNTI.
APPARE PALESEMENTE ARBITRARIO IL NEGARE OGNI "MOTIVAZIONE SCRITTA COSI' COME SONO DA CONDANNNARE TUTTI I FUNZIONARI I QUALI CON L'ALTERIGIA E LA TRACOTANZA CHE CONOSCIAMO, CERCANO DI "LIQUIDARE" IL RICHIEDENTE NON FORNENDO NIENTE DI QUANTO RICHIESTO E TRINCERANDOSI DIETRO ALLA "INDISCUTIBILE" DECISIONE DEL "MAGISTRATO" IL QUALE, PROPRIO IN QUEL MOMENTO E' SEMPRE IMPEGNATOO ALTROVE E NON E' MAI POSSIBILE INTERLOQUIRE CON LE SS.LL. ILLL.ME--
CARI SIGNORI QUESTO ALTRO NON E' CHE "SILENZIO" ED IL "SILENZIO" E' "MAFIA" !
QUANTO DICHIARATO ULTIMAMENTE DA NR. 4 SIGNORI MAGISTRATI E' LA SACROSANTA VERITA' E DETERMINATI ATTEGGGIAMENTI CONFERMANO PALESEMENTE QUANTO DA LORO DICHIARATO OSSIA CHE NELLA"MAGISTRATURA ITALIANA" LA "COORRUZIONE" ORAMAI E' DILAGANTE, IL FALSO E' UNA COSTANTE COSI' COME L'OCCULTAMENTO DI ATTI E LA LORO CONSEGUENTE OMISSIONE.
TUTTO QUI'.
IN UTIMO SI RICORDA CHE, QUALSIASI CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA' A CARICO DEI "MAGISTRATI" E' PALESEMENTE RESA VANA DAL FATTO CHE, COLORO CHE SONO CHIAMATI A GIUDDICARE UNA CONDOTTA SPESSO "DELINQUENZIALE" TENUTA DA DETERMINATI TOGATI, ALTRO NON SONO CHE "ALTRI TOGATI" ED IL "VINCOLO ASSOCIATIVO CHE LI ACCOMUNA" IMPEDISCE AGLI UNI DI PROCEDERE NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI.
"VINCOLO ASSOCIATIVO": "VEDASI PRIMO COMMA ART. 416 BIS DEL C.P. OSSIA "ASSOCIAZIONE A DDELINQUERE DI STAMPO MAFIOSO". Appare inutile sottolineare che, come "Quasi sempre" accade, il "Cittadino" viene considerato, dai "Magistrtai" ed anche dai "Solerti Funzionari" che "Dovrebbero" curare l'iter di determinate procedure e fornire le "Dovute" spiegazioni, palesemente un "Oggetto non Pensante" e quindi non meritevole della minima spiegazione.Ne consegue che possa capitare che il citato "Cittadino", una volta chieste le debite e legittime spiegazioni, trovandosi di fronte al solito "Muro di Gomma", abbiia anche delle reazioni tendenti a far notare che, nelle sue richieste non vi è assolutamente niente di arbitrario o illegittimo che dir si voglia.Proprio per curare i rapporti tra il "Cittadino" e la P.A., in altri periodi, evidentemente quando "NON" erano concessi determinati abusi, fu emanato il decreto Lgs nr. 288/1944 e quì di seguito ne viene riportato una parte del testo che comunque appare più che esaustivo poichè fornisce "Cause di Giustificazione" per ogni reazione del cittadino il quale altrimenti potrebbe vedersi coinvolto anche in vari problemi di natura penale:La reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali: aspetti descrittiviArticolo 19.10.2005 (Antonio Giacalone) Il modello di Pubblica Amministrazione delineato dalla nostra Costituzione attribuisce alla stessa numerosi poteri che si traducono, di fatto, in una posizione di supremazia funzionale al raggiungimento dell’interesse pubblico. L’azione della p.a. è legittima in quanto conforme al diritto.Nel rapporto tra p.a. e cittadini assume fondamentale importanza la norma dell’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944, la quale fornisce tutela al privato destinatario del potere amministrativo sfociato nell’illegittimità.Il presente lavoro descrive la disciplina dettata dall’articolo 4 del D. lgs. 288/1944 (c.d. reazione legittima agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali), analizzandone la ratio, la natura giuridica e i presupposti di legge.(Altalex, 19 ottobre 2005)/Giacalone /reazione /atti arbitrari /pubblici ufficiali /LA REAZIONE AGLI ATTI ARBITRARI DEI PUBBLICI UFFICIALI: ASPETTI DESCRITTIVIDott. Antonio GiacaloneSommario: I. Ratio e natura giuridica.- II. La condotta arbitraria.- III. La reazione difensiva. - IV. Casistica.I.L’articolo 4 del Decreto Legislativo 14 settembre 1944 n. 288 prevede che ''Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 343 del codice penale, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni''. La norma in esame, generalmente definita “legittima reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali”, rappresenta uno strumento di autotutela, concesso a favore di chiunque, in tutti i casi in cui l’operato dei funzionari della pubblica amministrazione sia espressione di arbitrarietà, di eccessi che si traducono in un veri e propri soprusi.Conseguentemente, in tali situazioni appare del tutto legittima una reazione difensiva del soggetto passivo che miri a ripristinare l’ordine e la legalità violata da comportamenti scorretti da parte dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di pubblico servizio [1].In questo senso mostra di orientarsi la dottrina prevalente, ritenendo che la previsione in esame abbia la natura giuridica di una causa di giustificazione (di esclusione dell’antigiuridicità) che trova la sua ratio nell’esigenza di offrire tutela al privato rispetto ad una attività amministrativa arbitraria e lesiva di interessi giuridicamente rilevanti [ANTOLISEI, 366; FIANDACA-MUSCO, 305]. Appare, infatti, iniquo punire la condotta di chi voglia difendersi da una aggressione arbitraria.La giurisprudenza, dal canto suo, tende a considerare la norma dell’articolo 4 del D. Lgs. 288/1944 una causa di esclusione della pena, che lascia sussistere l’antigiuridicità della condotta dell’agente e la possibilità di applicare sanzioni di natura extrapenale [2].Per questa via, la condotta dell’agente rimarrebbe illecita, in quanto tipica, antigiuridica e colpevole, ma andrebbe esente dall’applicazione della pena per ragioni di opportunità e di politica criminale.La diversa prospettiva interpretativa presente importanti risvolti pratici, tra i quali uno dei più rivelanti riguarda la possibilità di ritenere applicabile l’articolo 59 cpv. c.p. Infatti, solo nel caso in cui la norma de qua sia qualificata in termini di causa di giustificazione, può essere richiamato il contenuto della previsione di cui all’articolo 59 cpv. c.p., che attribuisce alle cause di giustificazione un connotato obiettivo, consentendo la loro applicazione anche nelle ipotesi in cui siano state erroneamente supposte (rilevanza del putativo). Ne consegue che, accogliendo la prospettiva ritenuta dalla dottrina prevalente, sarebbe possibile dare rilevanza alla c.d. arbitrarietà putativa.A dire il vero, la giurisprudenza prevalente insieme ad una parte della dottrina negano la configurabilità del putativo in ordine alla disciplina dell’articolo 4 del D. lgs. 288/1944, ricorrendo spesso a motivazioni che, lungi dal presentare una coerenza sul piano tecnico-giuridico, palesano la volontà di mantenere una sfera di intangibilità e di protezione del potere amministrativo [3].Tuttavia, occorre rimarcare come le stesse motivazioni di ordine giuridico che hanno giustificato l’introduzione nel nostro ordinamento dell’articolo 59 cpv c.p., possono essere, mutatis mutandis, valide per la scriminante in questione, che deve essere considerata una causa di giustificazione.La natura giuridica di causa di giustificazione, che esclude l’antigiuridicità della condotta, è imposta, a ben guardare, dalla stessa ratio della norma che, volendo offrire al privato uno strumento di tutela rispetto ai soprusi dei pubblici funzionari, rappresenta un esempio di civiltà giuridica e, in quanto tale, non tollera limitazioni collegate a scelte più o meno precise di politica criminale. E’ la conformità al diritto che rende legittimo l’uso del potere, lo stesso, infatti, quando si pone oltre i confini tracciati dall’ordinamento giuridico, perde ogni connotato di legalità. II. Il nucleo centrale della norma è rappresentato dall’eccesso compiuto dal pubblico ufficiale, pubblico impiegato o da un incaricato di un pubblico servizio mediante atti arbitrari che ledono interessi giuridicamente rilevanti di soggetti privati o, anche, pubblici funzionari.Occorrerà, dunque, esaminare che cosa vuole intendersi per atto eccedente le proprie attribuzioni e per atto arbitrario.L’atto che eccede le proprie attribuzioni è quello non consentito dall’ordinamento giuridico. La dottrina prevalente ritiene che siano da annoverare in questa ultima categoria gli atti illegittimi, ossia quelli viziati da violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere [FIANDACA-MUSCO, 304] [4].Controversa è invece la possibilità di considerare come accedenti le proprie attribuzioni quegli atti che, pur non essendo illegittimi o viziati nel merito, siano scorretti, sconvenienti, et c. [5].L’eccesso realizzato dal pubblico ufficiale non deve essere solo contrario all’ordinamento giuridico, ma deve essere realizzato attraverso atti arbitrari, ossia con comportamenti che, con prepotenza e sopruso, manifestino la deliberata intenzione di eccedere dalle proprie attribuzioni.La dottrina oggi prevalente ritiene che il concetto di atto arbitrario eccessivo debba avere una portata oggettiva, che lo identifica con l’illegittimità dello stesso [CRESPI, 307; FIANDACA-MUSCO, 306]. La giurisprudenza ritiene invece che non basta che l’atto sia contra legem (illegittimo), occorrendo, in primo luogo, che il privato e il pubblico ufficiale abbiano la consapevolezza di tale illegittimità e, in secondo luogo, che il pubblico ufficiale operi per fini personali, estranei rispetto al fine pubblico [6].In coerenza con la prospettiva interpretativa da ultimo riferita, la giurisprudenza ritiene che l’esimente di cui all’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944 non può essere riconosciuta, ad esempio, nel caso in cui l’atto sia stato espressione dei poteri del pubblico ufficiale e sia, comunque, realizzato per fini pubblici, anche se, in concreto, venga attuato con scarsa cautela, per errore o in modo sgarbato [7].Il connotato soggettivo della condotta del pubblico ufficiale, in termini di dolo, richiesto dalla giurisprudenza, esclude, inoltre, che lo stesso possa essere chiamato a rispondere per colpa e rappresenta il punto di maggiore critica della dottrina all’impostazione seguita dalla giurisprudenza, in quanto ritenuta contraddittoria rispetto alla ratio della norma che, volendo proteggere il cittadino rispetto alle prevaricazioni dei pubblici funzionari e volendo al contempo segnare il limite della legittimità del potere, comporta la sufficienza dell’oggettivo comportamento illecito del pubblico ufficiale [8].LA P.A. NON DEVE MAI DIMENTICARE CHE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA PROPOSTO UNA ISTANZA, UN ESPOSTO O UNA DENUNCIA INDIRIZZATA ALLA A.G. DI COMPETENZA, HA IL DIRITTO SACROSANTO DI CONOSCERE L'ITER CHE TALE TRATICA STA' SEGUENDO E, NEL CASO, QUALI SIANO STATE LE EVENTUALI DETERMINAZIONI DELLE VARIE a.g. LE QUALI SONO SEMPRE TENUTE A FORNIRE "MOTIVAZIONE SCRITTA" DEL LORO OPERATO O COMUNQUE SEMPRE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA FORNITO RICHIESTA SCRITTA CIRCA LE DETERMINAZIONI ALLE QUALI SI E' GIUNTI.APPARE PALESEMENTE ARBITRARIO IL NEGARE OGNI "MOTIVAZIONE SCRITTA COSI' COME SONO DA CONDANNNARE TUTTI I FUNZIONARI I QUALI CON L'ALTERIGIA E LA TRACOTANZA CHE CONOSCIAMO, CERCANO DI "LIQUIDARE" IL RICHIEDENTE NON FORNENDO NIENTE DI QUANTO RICHIESTO E TRINCERANDOSI DIETRO ALLA "INDISCUTIBILE" DECISIONE DEL "MAGISTRATO" IL QUALE, PROPRIO IN QUEL MOMENTO E' SEMPRE IMPEGNATOO ALTROVE E NON E' MAI POSSIBILE INTERLOQUIRE CON LE SS.LL. ILLL.ME--CARI SIGNORI QUESTO ALTRO NON E' CHE "SILENZIO" ED IL "SILENZIO" E' "MAFIA" !QUANTO DICHIARATO ULTIMAMENTE DA NR. 4 SIGNORI MAGISTRATI E' LA SACROSANTA VERITA' E DETERMINATI ATTEGGGIAMENTI CONFERMANO PALESEMENTE QUANTO DA LORO DICHIARATO OSSIA CHE NELLA"MAGISTRATURA ITALIANA" LA "COORRUZIONE" ORAMAI E' DILAGANTE, IL FALSO E' UNA COSTANTE COSI' COME L'OCCULTAMENTO DI ATTI E LA LORO CONSEGUENTE OMISSIONE.TUTTO QUI'.IN UTIMO SI RICORDA CHE, QUALSIASI CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA' A CARICO DEI "MAGISTRATI" E' PALESEMENTE RESA VANA DAL FATTO CHE, COLORO CHE SONO CHIAMATI A GIUDDICARE UNA CONDOTTA SPESSO "DELINQUENZIALE" TENUTA DA DETERMINATI TOGATI, ALTRO NON SONO CHE "ALTRI TOGATI" ED IL "VINCOLO ASSOCIATIVO CHE LI ACCOMUNA" IMPEDISCE AGLI UNI DI PROCEDERE NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI."VINCOLO ASSOCIATIVO": "VEDASI PRIMO COMMA ART. 416 BIS DEL C.P. OSSIA "ASSOCIAZIONE A DDELINQUERE DI STAMPO MAFIOSO".
Daniele Bertinetto ha condiviso la nota di Mauro Masoni.-------------------------------------------------
Piace a Bruno Falzea.
Appare inutile sottolineare che, come "Quasi sempre" accade, il "Cittadino" viene considerato, dai "Magistrtai" ed anche dai "Solerti Funzionari" che "Dovrebbero" curare l'iter di determinate procedure e fornire le "Dovute" spiegazioni, palesemente un "Oggetto non Pensante" e quindi non meritevole della minima spiegazione.
Ne consegue che possa capitare che il citato "Cittadino", una volta chieste le debite e legittime spiegazioni, trovandosi di fronte al solito "Muro di Gomma", abbiia anche delle reazioni tendenti a far notare che, nelle sue richieste non vi è assolutamente niente di arbitrario o illegittimo che dir si voglia.
Proprio per curare i rapporti tra il "Cittadino" e la P.A., in altri periodi, evidentemente quando "NON" erano concessi determinati abusi, fu emanato il decreto Lgs nr. 288/1944 e quì di seguito ne viene riportato una parte del testo che comunque appare più che esaustivo poichè fornisce "Cause di Giustificazione" per ogni reazione del cittadino il quale altrimenti potrebbe vedersi coinvolto anche in vari problemi di natura penale:
La reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali: aspetti descrittivi
Articolo 19.10.2005 (Antonio Giacalone)
Il modello di Pubblica Amministrazione delineato dalla nostra Costituzione attribuisce alla stessa numerosi poteri che si traducono, di fatto, in una posizione di supremazia funzionale al raggiungimento dell’interesse pubblico. L’azione della p.a. è legittima in quanto conforme al diritto.
Nel rapporto tra p.a. e cittadini assume fondamentale importanza la norma dell’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944, la quale fornisce tutela al privato destinatario del potere amministrativo sfociato nell’illegittimità.
Il presente lavoro descrive la disciplina dettata dall’articolo 4 del D. lgs. 288/1944 (c.d. reazione legittima agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali), analizzandone la ratio, la natura giuridica e i presupposti di legge.
(Altalex, 19 ottobre 2005)
/Giacalone /reazione /atti arbitrari /pubblici ufficiali /
LA REAZIONE AGLI ATTI ARBITRARI DEI PUBBLICI UFFICIALI: ASPETTI DESCRITTIVI
Dott. Antonio Giacalone
Sommario: I. Ratio e natura giuridica.- II. La condotta arbitraria.- III. La reazione difensiva. - IV. Casistica.
I.
L’articolo 4 del Decreto Legislativo 14 settembre 1944 n. 288 prevede che ''Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 343 del codice penale, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni''.
La norma in esame, generalmente definita “legittima reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali”, rappresenta uno strumento di autotutela, concesso a favore di chiunque, in tutti i casi in cui l’operato dei funzionari della pubblica amministrazione sia espressione di arbitrarietà, di eccessi che si traducono in un veri e propri soprusi.
Conseguentemente, in tali situazioni appare del tutto legittima una reazione difensiva del soggetto passivo che miri a ripristinare l’ordine e la legalità violata da comportamenti scorretti da parte dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di pubblico servizio [1].
In questo senso mostra di orientarsi la dottrina prevalente, ritenendo che la previsione in esame abbia la natura giuridica di una causa di giustificazione (di esclusione dell’antigiuridicità) che trova la sua ratio nell’esigenza di offrire tutela al privato rispetto ad una attività amministrativa arbitraria e lesiva di interessi giuridicamente rilevanti [ANTOLISEI, 366; FIANDACA-MUSCO, 305]. Appare, infatti, iniquo punire la condotta di chi voglia difendersi da una aggressione arbitraria.
La giurisprudenza, dal canto suo, tende a considerare la norma dell’articolo 4 del D. Lgs. 288/1944 una causa di esclusione della pena, che lascia sussistere l’antigiuridicità della condotta dell’agente e la possibilità di applicare sanzioni di natura extrapenale [2].
Per questa via, la condotta dell’agente rimarrebbe illecita, in quanto tipica, antigiuridica e colpevole, ma andrebbe esente dall’applicazione della pena per ragioni di opportunità e di politica criminale.
La diversa prospettiva interpretativa presente importanti risvolti pratici, tra i quali uno dei più rivelanti riguarda la possibilità di ritenere applicabile l’articolo 59 cpv. c.p. Infatti, solo nel caso in cui la norma de qua sia qualificata in termini di causa di giustificazione, può essere richiamato il contenuto della previsione di cui all’articolo 59 cpv. c.p., che attribuisce alle cause di giustificazione un connotato obiettivo, consentendo la loro applicazione anche nelle ipotesi in cui siano state erroneamente supposte (rilevanza del putativo). Ne consegue che, accogliendo la prospettiva ritenuta dalla dottrina prevalente, sarebbe possibile dare rilevanza alla c.d. arbitrarietà putativa.
A dire il vero, la giurisprudenza prevalente insieme ad una parte della dottrina negano la configurabilità del putativo in ordine alla disciplina dell’articolo 4 del D. lgs. 288/1944, ricorrendo spesso a motivazioni che, lungi dal presentare una coerenza sul piano tecnico-giuridico, palesano la volontà di mantenere una sfera di intangibilità e di protezione del potere amministrativo [3].
Tuttavia, occorre rimarcare come le stesse motivazioni di ordine giuridico che hanno giustificato l’introduzione nel nostro ordinamento dell’articolo 59 cpv c.p., possono essere, mutatis mutandis, valide per la scriminante in questione, che deve essere considerata una causa di giustificazione.
La natura giuridica di causa di giustificazione, che esclude l’antigiuridicità della condotta, è imposta, a ben guardare, dalla stessa ratio della norma che, volendo offrire al privato uno strumento di tutela rispetto ai soprusi dei pubblici funzionari, rappresenta un esempio di civiltà giuridica e, in quanto tale, non tollera limitazioni collegate a scelte più o meno precise di politica criminale. E’ la conformità al diritto che rende legittimo l’uso del potere, lo stesso, infatti, quando si pone oltre i confini tracciati dall’ordinamento giuridico, perde ogni connotato di legalità.
II.
Il nucleo centrale della norma è rappresentato dall’eccesso compiuto dal pubblico ufficiale, pubblico impiegato o da un incaricato di un pubblico servizio mediante atti arbitrari che ledono interessi giuridicamente rilevanti di soggetti privati o, anche, pubblici funzionari.
Occorrerà, dunque, esaminare che cosa vuole intendersi per atto eccedente le proprie attribuzioni e per atto arbitrario.
L’atto che eccede le proprie attribuzioni è quello non consentito dall’ordinamento giuridico.
La dottrina prevalente ritiene che siano da annoverare in questa ultima categoria gli atti illegittimi, ossia quelli viziati da violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere [FIANDACA-MUSCO, 304] [4].
Controversa è invece la possibilità di considerare come accedenti le proprie attribuzioni quegli atti che, pur non essendo illegittimi o viziati nel merito, siano scorretti, sconvenienti, et c. [5].
L’eccesso realizzato dal pubblico ufficiale non deve essere solo contrario all’ordinamento giuridico, ma deve essere realizzato attraverso atti arbitrari, ossia con comportamenti che, con prepotenza e sopruso, manifestino la deliberata intenzione di eccedere dalle proprie attribuzioni.
La dottrina oggi prevalente ritiene che il concetto di atto arbitrario eccessivo debba avere una portata oggettiva, che lo identifica con l’illegittimità dello stesso [CRESPI, 307; FIANDACA-MUSCO, 306].
La giurisprudenza ritiene invece che non basta che l’atto sia contra legem (illegittimo), occorrendo, in primo luogo, che il privato e il pubblico ufficiale abbiano la consapevolezza di tale illegittimità e, in secondo luogo, che il pubblico ufficiale operi per fini personali, estranei rispetto al fine pubblico [6].
In coerenza con la prospettiva interpretativa da ultimo riferita, la giurisprudenza ritiene che l’esimente di cui all’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944 non può essere riconosciuta, ad esempio, nel caso in cui l’atto sia stato espressione dei poteri del pubblico ufficiale e sia, comunque, realizzato per fini pubblici, anche se, in concreto, venga attuato con scarsa cautela, per errore o in modo sgarbato [7].
Il connotato soggettivo della condotta del pubblico ufficiale, in termini di dolo, richiesto dalla giurisprudenza, esclude, inoltre, che lo stesso possa essere chiamato a rispondere per colpa e rappresenta il punto di maggiore critica della dottrina all’impostazione seguita dalla giurisprudenza, in quanto ritenuta contraddittoria rispetto alla ratio della norma che, volendo proteggere il cittadino rispetto alle prevaricazioni dei pubblici funzionari e volendo al contempo segnare il limite della legittimità del potere, comporta la sufficienza dell’oggettivo comportamento illecito del pubblico ufficiale [8].
LA P.A. NON DEVE MAI DIMENTICARE CHE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA PROPOSTO UNA ISTANZA, UN ESPOSTO O UNA DENUNCIA INDIRIZZATA ALLA A.G. DI COMPETENZA, HA IL DIRITTO SACROSANTO DI CONOSCERE L'ITER CHE TALE TRATICA STA' SEGUENDO E, NEL CASO, QUALI SIANO STATE LE EVENTUALI DETERMINAZIONI DELLE VARIE a.g. LE QUALI SONO SEMPRE TENUTE A FORNIRE "MOTIVAZIONE SCRITTA" DEL LORO OPERATO O COMUNQUE SEMPRE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA FORNITO RICHIESTA SCRITTA CIRCA LE DETERMINAZIONI ALLE QUALI SI E' GIUNTI.
APPARE PALESEMENTE ARBITRARIO IL NEGARE OGNI "MOTIVAZIONE SCRITTA COSI' COME SONO DA CONDANNNARE TUTTI I FUNZIONARI I QUALI CON L'ALTERIGIA E LA TRACOTANZA CHE CONOSCIAMO, CERCANO DI "LIQUIDARE" IL RICHIEDENTE NON FORNENDO NIENTE DI QUANTO RICHIESTO E TRINCERANDOSI DIETRO ALLA "INDISCUTIBILE" DECISIONE DEL "MAGISTRATO" IL QUALE, PROPRIO IN QUEL MOMENTO E' SEMPRE IMPEGNATOO ALTROVE E NON E' MAI POSSIBILE INTERLOQUIRE CON LE SS.LL. ILLL.ME--
CARI SIGNORI QUESTO ALTRO NON E' CHE "SILENZIO" ED IL "SILENZIO" E' "MAFIA" !
QUANTO DICHIARATO ULTIMAMENTE DA NR. 4 SIGNORI MAGISTRATI E' LA SACROSANTA VERITA' E DETERMINATI ATTEGGGIAMENTI CONFERMANO PALESEMENTE QUANTO DA LORO DICHIARATO OSSIA CHE NELLA"MAGISTRATURA ITALIANA" LA "COORRUZIONE" ORAMAI E' DILAGANTE, IL FALSO E' UNA COSTANTE COSI' COME L'OCCULTAMENTO DI ATTI E LA LORO CONSEGUENTE OMISSIONE.
TUTTO QUI'.
IN UTIMO SI RICORDA CHE, QUALSIASI CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA' A CARICO DEI "MAGISTRATI" E' PALESEMENTE RESA VANA DAL FATTO CHE, COLORO CHE SONO CHIAMATI A GIUDDICARE UNA CONDOTTA SPESSO "DELINQUENZIALE" TENUTA DA DETERMINATI TOGATI, ALTRO NON SONO CHE "ALTRI TOGATI" ED IL "VINCOLO ASSOCIATIVO CHE LI ACCOMUNA" IMPEDISCE AGLI UNI DI PROCEDERE NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI.
"VINCOLO ASSOCIATIVO": "VEDASI PRIMO COMMA ART. 416 BIS DEL C.P. OSSIA "ASSOCIAZIONE A DDELINQUERE DI STAMPO MAFIOSO". Appare inutile sottolineare che, come "Quasi sempre" accade, il "Cittadino" viene considerato, dai "Magistrtai" ed anche dai "Solerti Funzionari" che "Dovrebbero" curare l'iter di determinate procedure e fornire le "Dovute" spiegazioni, palesemente un "Oggetto non Pensante" e quindi non meritevole della minima spiegazione.Ne consegue che possa capitare che il citato "Cittadino", una volta chieste le debite e legittime spiegazioni, trovandosi di fronte al solito "Muro di Gomma", abbiia anche delle reazioni tendenti a far notare che, nelle sue richieste non vi è assolutamente niente di arbitrario o illegittimo che dir si voglia.Proprio per curare i rapporti tra il "Cittadino" e la P.A., in altri periodi, evidentemente quando "NON" erano concessi determinati abusi, fu emanato il decreto Lgs nr. 288/1944 e quì di seguito ne viene riportato una parte del testo che comunque appare più che esaustivo poichè fornisce "Cause di Giustificazione" per ogni reazione del cittadino il quale altrimenti potrebbe vedersi coinvolto anche in vari problemi di natura penale:La reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali: aspetti descrittiviArticolo 19.10.2005 (Antonio Giacalone) Il modello di Pubblica Amministrazione delineato dalla nostra Costituzione attribuisce alla stessa numerosi poteri che si traducono, di fatto, in una posizione di supremazia funzionale al raggiungimento dell’interesse pubblico. L’azione della p.a. è legittima in quanto conforme al diritto.Nel rapporto tra p.a. e cittadini assume fondamentale importanza la norma dell’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944, la quale fornisce tutela al privato destinatario del potere amministrativo sfociato nell’illegittimità.Il presente lavoro descrive la disciplina dettata dall’articolo 4 del D. lgs. 288/1944 (c.d. reazione legittima agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali), analizzandone la ratio, la natura giuridica e i presupposti di legge.(Altalex, 19 ottobre 2005)/Giacalone /reazione /atti arbitrari /pubblici ufficiali /LA REAZIONE AGLI ATTI ARBITRARI DEI PUBBLICI UFFICIALI: ASPETTI DESCRITTIVIDott. Antonio GiacaloneSommario: I. Ratio e natura giuridica.- II. La condotta arbitraria.- III. La reazione difensiva. - IV. Casistica.I.L’articolo 4 del Decreto Legislativo 14 settembre 1944 n. 288 prevede che ''Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 343 del codice penale, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni''. La norma in esame, generalmente definita “legittima reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali”, rappresenta uno strumento di autotutela, concesso a favore di chiunque, in tutti i casi in cui l’operato dei funzionari della pubblica amministrazione sia espressione di arbitrarietà, di eccessi che si traducono in un veri e propri soprusi.Conseguentemente, in tali situazioni appare del tutto legittima una reazione difensiva del soggetto passivo che miri a ripristinare l’ordine e la legalità violata da comportamenti scorretti da parte dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di pubblico servizio [1].In questo senso mostra di orientarsi la dottrina prevalente, ritenendo che la previsione in esame abbia la natura giuridica di una causa di giustificazione (di esclusione dell’antigiuridicità) che trova la sua ratio nell’esigenza di offrire tutela al privato rispetto ad una attività amministrativa arbitraria e lesiva di interessi giuridicamente rilevanti [ANTOLISEI, 366; FIANDACA-MUSCO, 305]. Appare, infatti, iniquo punire la condotta di chi voglia difendersi da una aggressione arbitraria.La giurisprudenza, dal canto suo, tende a considerare la norma dell’articolo 4 del D. Lgs. 288/1944 una causa di esclusione della pena, che lascia sussistere l’antigiuridicità della condotta dell’agente e la possibilità di applicare sanzioni di natura extrapenale [2].Per questa via, la condotta dell’agente rimarrebbe illecita, in quanto tipica, antigiuridica e colpevole, ma andrebbe esente dall’applicazione della pena per ragioni di opportunità e di politica criminale.La diversa prospettiva interpretativa presente importanti risvolti pratici, tra i quali uno dei più rivelanti riguarda la possibilità di ritenere applicabile l’articolo 59 cpv. c.p. Infatti, solo nel caso in cui la norma de qua sia qualificata in termini di causa di giustificazione, può essere richiamato il contenuto della previsione di cui all’articolo 59 cpv. c.p., che attribuisce alle cause di giustificazione un connotato obiettivo, consentendo la loro applicazione anche nelle ipotesi in cui siano state erroneamente supposte (rilevanza del putativo). Ne consegue che, accogliendo la prospettiva ritenuta dalla dottrina prevalente, sarebbe possibile dare rilevanza alla c.d. arbitrarietà putativa.A dire il vero, la giurisprudenza prevalente insieme ad una parte della dottrina negano la configurabilità del putativo in ordine alla disciplina dell’articolo 4 del D. lgs. 288/1944, ricorrendo spesso a motivazioni che, lungi dal presentare una coerenza sul piano tecnico-giuridico, palesano la volontà di mantenere una sfera di intangibilità e di protezione del potere amministrativo [3].Tuttavia, occorre rimarcare come le stesse motivazioni di ordine giuridico che hanno giustificato l’introduzione nel nostro ordinamento dell’articolo 59 cpv c.p., possono essere, mutatis mutandis, valide per la scriminante in questione, che deve essere considerata una causa di giustificazione.La natura giuridica di causa di giustificazione, che esclude l’antigiuridicità della condotta, è imposta, a ben guardare, dalla stessa ratio della norma che, volendo offrire al privato uno strumento di tutela rispetto ai soprusi dei pubblici funzionari, rappresenta un esempio di civiltà giuridica e, in quanto tale, non tollera limitazioni collegate a scelte più o meno precise di politica criminale. E’ la conformità al diritto che rende legittimo l’uso del potere, lo stesso, infatti, quando si pone oltre i confini tracciati dall’ordinamento giuridico, perde ogni connotato di legalità. II. Il nucleo centrale della norma è rappresentato dall’eccesso compiuto dal pubblico ufficiale, pubblico impiegato o da un incaricato di un pubblico servizio mediante atti arbitrari che ledono interessi giuridicamente rilevanti di soggetti privati o, anche, pubblici funzionari.Occorrerà, dunque, esaminare che cosa vuole intendersi per atto eccedente le proprie attribuzioni e per atto arbitrario.L’atto che eccede le proprie attribuzioni è quello non consentito dall’ordinamento giuridico. La dottrina prevalente ritiene che siano da annoverare in questa ultima categoria gli atti illegittimi, ossia quelli viziati da violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere [FIANDACA-MUSCO, 304] [4].Controversa è invece la possibilità di considerare come accedenti le proprie attribuzioni quegli atti che, pur non essendo illegittimi o viziati nel merito, siano scorretti, sconvenienti, et c. [5].L’eccesso realizzato dal pubblico ufficiale non deve essere solo contrario all’ordinamento giuridico, ma deve essere realizzato attraverso atti arbitrari, ossia con comportamenti che, con prepotenza e sopruso, manifestino la deliberata intenzione di eccedere dalle proprie attribuzioni.La dottrina oggi prevalente ritiene che il concetto di atto arbitrario eccessivo debba avere una portata oggettiva, che lo identifica con l’illegittimità dello stesso [CRESPI, 307; FIANDACA-MUSCO, 306]. La giurisprudenza ritiene invece che non basta che l’atto sia contra legem (illegittimo), occorrendo, in primo luogo, che il privato e il pubblico ufficiale abbiano la consapevolezza di tale illegittimità e, in secondo luogo, che il pubblico ufficiale operi per fini personali, estranei rispetto al fine pubblico [6].In coerenza con la prospettiva interpretativa da ultimo riferita, la giurisprudenza ritiene che l’esimente di cui all’articolo 4 del Decreto Legislativo 288/1944 non può essere riconosciuta, ad esempio, nel caso in cui l’atto sia stato espressione dei poteri del pubblico ufficiale e sia, comunque, realizzato per fini pubblici, anche se, in concreto, venga attuato con scarsa cautela, per errore o in modo sgarbato [7].Il connotato soggettivo della condotta del pubblico ufficiale, in termini di dolo, richiesto dalla giurisprudenza, esclude, inoltre, che lo stesso possa essere chiamato a rispondere per colpa e rappresenta il punto di maggiore critica della dottrina all’impostazione seguita dalla giurisprudenza, in quanto ritenuta contraddittoria rispetto alla ratio della norma che, volendo proteggere il cittadino rispetto alle prevaricazioni dei pubblici funzionari e volendo al contempo segnare il limite della legittimità del potere, comporta la sufficienza dell’oggettivo comportamento illecito del pubblico ufficiale [8].LA P.A. NON DEVE MAI DIMENTICARE CHE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA PROPOSTO UNA ISTANZA, UN ESPOSTO O UNA DENUNCIA INDIRIZZATA ALLA A.G. DI COMPETENZA, HA IL DIRITTO SACROSANTO DI CONOSCERE L'ITER CHE TALE TRATICA STA' SEGUENDO E, NEL CASO, QUALI SIANO STATE LE EVENTUALI DETERMINAZIONI DELLE VARIE a.g. LE QUALI SONO SEMPRE TENUTE A FORNIRE "MOTIVAZIONE SCRITTA" DEL LORO OPERATO O COMUNQUE SEMPRE, NEL CASO IL CITTADINO ABBIA FORNITO RICHIESTA SCRITTA CIRCA LE DETERMINAZIONI ALLE QUALI SI E' GIUNTI.APPARE PALESEMENTE ARBITRARIO IL NEGARE OGNI "MOTIVAZIONE SCRITTA COSI' COME SONO DA CONDANNNARE TUTTI I FUNZIONARI I QUALI CON L'ALTERIGIA E LA TRACOTANZA CHE CONOSCIAMO, CERCANO DI "LIQUIDARE" IL RICHIEDENTE NON FORNENDO NIENTE DI QUANTO RICHIESTO E TRINCERANDOSI DIETRO ALLA "INDISCUTIBILE" DECISIONE DEL "MAGISTRATO" IL QUALE, PROPRIO IN QUEL MOMENTO E' SEMPRE IMPEGNATOO ALTROVE E NON E' MAI POSSIBILE INTERLOQUIRE CON LE SS.LL. ILLL.ME--CARI SIGNORI QUESTO ALTRO NON E' CHE "SILENZIO" ED IL "SILENZIO" E' "MAFIA" !QUANTO DICHIARATO ULTIMAMENTE DA NR. 4 SIGNORI MAGISTRATI E' LA SACROSANTA VERITA' E DETERMINATI ATTEGGGIAMENTI CONFERMANO PALESEMENTE QUANTO DA LORO DICHIARATO OSSIA CHE NELLA"MAGISTRATURA ITALIANA" LA "COORRUZIONE" ORAMAI E' DILAGANTE, IL FALSO E' UNA COSTANTE COSI' COME L'OCCULTAMENTO DI ATTI E LA LORO CONSEGUENTE OMISSIONE.TUTTO QUI'.IN UTIMO SI RICORDA CHE, QUALSIASI CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA' A CARICO DEI "MAGISTRATI" E' PALESEMENTE RESA VANA DAL FATTO CHE, COLORO CHE SONO CHIAMATI A GIUDDICARE UNA CONDOTTA SPESSO "DELINQUENZIALE" TENUTA DA DETERMINATI TOGATI, ALTRO NON SONO CHE "ALTRI TOGATI" ED IL "VINCOLO ASSOCIATIVO CHE LI ACCOMUNA" IMPEDISCE AGLI UNI DI PROCEDERE NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI."VINCOLO ASSOCIATIVO": "VEDASI PRIMO COMMA ART. 416 BIS DEL C.P. OSSIA "ASSOCIAZIONE A DDELINQUERE DI STAMPO MAFIOSO".
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